mercoledì 5 novembre 2014

MANIFESTO PER LA LAICITA’

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MANIFESTO PER LA LAICITA’ 
Adottato l’11-12 ottobre 2014 in Londra (Regno Unito di Gran Bretagna) dalla Conferenza Internazionale sulla Destra Religiosa, la Laicità e i Diritti Civili
La nostra epoca è caratterizzata dalla crescita della destra religiosa - non a causa di una "rinascita religiosa", ma piuttosto a causa del sorgere di movimenti politici e di stati di estrema destra che utilizzano la religione per la supremazia politica. Questa crescita è una conseguenza diretta del neo-conservatorismo e del neoliberismo e delle politiche sociali del comunitarismo e del relativismo culturale. Universalismo dei diritti, laicità e diritti civili sono stati abbandonati e la segregazione delle società e delle "comunità" su base etnica, religiosa e culturale è diventata la norma.
Lo Stato Islamico ( ISIS), il regime dell’Arabia Saudita, Hindutva (Rashtriya Swayamsevak Sangh) in India, la Destra cristiana negli Stati Uniti e in Europa, Bodu Bala Sena in Sri Lanka, Haredim in Israele, AQMI e MUJAO in Mali, Boko Haram in Nigeria, i Talebani in Afghanistan e Pakistan,  la Repubblica Islamica dell'Iran e il Fronte Islamico per la Salvezza (FIS) in Algeria sono esempi di tutto questo.
Per molti decenni i popoli del Medio Oriente, del Nord Africa, dell’Asia meridionale e della diaspora sono stati le prime vittime, ma anche la prima linea di resistenza contro la destra  religiosa (sotto la forma di Stati religiosi, di organizzazione o movimenti) e in difesa della laicità e dei diritti universali, spesso con grande rischio per la loro vita.
Invitiamo le persone in tutto il mondo a stare con noi per creare un fronte internazionale contro la destra religiosa e per la laicità. Chiediamo:
1. Completa separazione della religione dallo stato. La laicità è un diritto fondamentale.
2. La separazione della religione dalla sfera pubblica, compreso il sistema di istruzione, l’assistenza sanitaria e la ricerca scientifica.
3. Abolizione delle leggi religiose  nel diritto di famiglia, civile e penale. Fine della discriminazione e della persecuzione  contro le persone LGBT (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender), le minoranze religiose, le donne, i liberi pensatori, gli ex-musulmani, e altri.
4. Libertà di religione e di ateismo e libertà di criticare le religioni. La credenza è un fatto privato.
5. Parità tra donne e uomini e diritti civili per tutti.

Primi firmatari:
 AC Grayling, Philosopher
Aliyah Saleem, Secular Education Campaigner
Amel Grami, Professor at the Tunisian University of Manouba
Bahram Soroush, Social and Political Analyst
Ben Baz Aziz is a Presenter at Arab Atheist broadcasting
Caroline Fourest, French Writer and Editor
Chris Moos, LSESU Atheist, Secularist and Humanist Society
Chulani Kodikara, International Centre for Ethnic Studies, Sri Lanka
Daphna Baram, Israeli-born human rights lawyer, journalist and comedian
Elham Manea, Yemeni Writer and Human Rights Activist
Faizun Zackariya, Citizens for Justice, Sri Lanka
Fariborz Pooya, Host of Bread and Roses TV
Fatou Sow, International Director of Women Living Under Muslim Laws
Gita Sahgal, Director of Centre for Secular Space
Hamid Taqvaee, Secretary of the Central Committee of the Worker-Communist Party of Iran
Horia Mosadiq, Human Rights and Women’s Rights Activist from Afghanistan
Imad Iddine Habib, Founder of Council of Ex-Muslims of Morocco
Inna Shevchenko, Leader of FEMEN
Julie Bindel, Emma Humphreys Memorial Prize and Justice for Women
Kacem El Ghazzali, Moroccan secularist writer and blogger
Kate Smurthwaite, Comedian and Activist
Kiran Opal, Writer, LGBTQ/Human Rights Campaigner, Co-founder Ex-Muslims of North America
Lila Ghobady, Iranian writer-journalist and documentary filmmaker
Magdulien Abaida, Libyan Activist and President of Hakki (My Right) Organization for Women Rights
Marieme Helie Lucas, Algerian Founder of Secularism is a Woman’s Issue
Maryam Namazie, Iranian Spokesperson for One Law for All, Council of Ex-Muslims of Britain and Fitnah
Nadia El Fani, Tunisian Filmmaker
Nahla Mahmoud, Spokesperson of Council of Ex-Muslims of Britain
Nina Sankari, Vice-President of the Atheist Coalition, Poland
Nira Yuval-Davis, a founder member of Women Against Fundamentalism and the International Research Network on Women in Militarized Conflict Zone
Pervez Hoodbhoy, Pakistani Nuclear Physicist and Social Activist
Peter Tatchell, Director of Peter Tatchell Foundation
Pragna Patel, Director of Southall Black Sisters
Ramin Forghani, Founder of Ex-Muslims of Scotland
Rumy Hassan, Senior Lecturer at University of Sussex and author
Sameena Zehra, comedian and blues singer
Sanal Edamaruku, President of Rationalist International
Soad Baba Aissa, Founder of the Association for Mixing, Equality and Secularism
Sue Cox, Founder of Survivors Voice Europe
Sultana Kamal is a lawyer, human rights activist and Executive Director of Ain o Salish Kendra in Bangladesh
Terry Sanderson, President of the National Secular Society
Yasmin Rehman, Women’s Rights Activist
Monica Lanfranco, attivista femminista, giornalista e blogger, direttora di Marea e rappresentante del Coordinamento Nazionale delle Consulte per la Laicità delle Istituzioni

Per firmare il Manifesto per la Laicità: 
oppure 

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CONFERENZA INTERNAZIONALE SULLA DESTRA RELIGIOSA,
SULLA LAICITA’ E SUI DIRITTI CIVILI
 
Londra 11-12 ottobre 2014, The Tower Hotel
di Monica Lanfranco (Marea – Coordinamento Nazionale delle Consulte per la Laicità delle Istituzioni)
Appunti prima di partire.
Dal 10 al 13 ottobre sarò a Londra, per registrare tutto il possibile in audio, video e scrittura di un evento che si annuncia importantissimo e unico, nel panorama europeo, ma che non mi è nuovo, perché, anche se in misura meno fastosa, sono stata protagonista e organizzatrice in Italia per ben due volte, nel 2006 e poi nel 2011, di eventi su questo argomento.
Parlo della Secular Conference, una due giorni di dibattito organizzata da una rete di associazioni che fanno capo alla visionaria e coraggiosa attivista di origine iraniana Maryam Namazie, una delle voci che per prima allertò Europa e occidente dell’insorgere della dittatura di stampo islamista, che si stava rafforzando in Iran agli inizia del nuovo secolo e che, assieme ad altre attiviste femministe del mondo islamico, ha messo in guardia dal salutare come progressiste le primavere arabe, cogliendone i lati oscuri che poi si sono materializzati con il radicamento dell’islamismo in molti paesi dell’area vicina al Mediterraneo.
All’evento londinese, organizzato in una location davvero impressionante (motivo anche del costo non certo popolare per la partecipazione, circa 180 euro) sono stati invitate oltre cinquanta tra donne e uomini che in questi anni, nel diffuso disinteresse della stampa e dei movimenti per una diversa globalizzazione, hanno alzato la voce e proposto analisi e pratiche contro l’islamismo radicale e per la diffusione del secolarismo nei paesi ora a maggioranza islamica.
Molte e molti tra coloro che parleranno all’assise londinese prendono a spunto, per la critica della politicizzazione dell’islamismo, la visione degli integralisti riguardo alla donna, alla famiglia e alle relazioni tra i generi e la prevalente importanza del diritto del clan e della comunità a scapito di quello individuale, che sta portando, in Inghilterra e in Canada, alla diffusione del doppio binario giurisprudenziale, che affianca alla legge secolare la shaaria, in particolare nelle controversie familiari, su richiesta di gruppi islamici .
Fu Susan Moller Okin, nel saggio Il multiculturalismo fa male alle donne? scritto nel 1997, pubblicato da Marea nel 1998 e diventato poi libro con il titolo di Diritti delle donne e multiculturalismo nel 2007,  a lanciare l’allarme per ciò che oggi è realtà, ricevendo critiche da alcune femministe (steso trattamento riservato anche al mio Senza velo-donne nell’Islam contro l’integralismo) perché ritenuto frutto di un pensiero coloniale.
E’ molto complicato, in Italia e non solo, toccare i punti oscuri della religione delle ‘vittime’, l’Islam: dal momento che il rischio di strumentalizzazione razzista è alto,  si preferisce tacere sulla condizione delle donne nelle enclavi in cui spesso si rinchiudono le comunità migranti, limitandosi ad un generico e neutro appoggio alle lotte contro la clandestinità e per la cittadinanza, senza però evidenziare come in molte di queste comunità le donne siano schiavizzate e tenute in scacco dalle regole patriarcali spesso dominate dal credo islamico integralista.
“La laicità è una richiesta umana, non importa dove si sia nati o si viva”, ha sottlineato Maryam Namazie in un articolo uscito su Marea nel  2001. Ed è una richiesta che non è mai stata così urgente nella storia contemporanea, visto l’emergere dei movimenti religiosi in generale, e dell’Islam politico in particolare. Lontano dall’essere un concetto occidentale, esso ha una speciale urgenza in paesi retti dalla legge islamica, dove norme medioevali vengono avvalorate dallo Stato con indiscriminata brutalità e crudeltà. Le regole religiose impongono la segregazione di uomini e donne e obbligano a portare il velo, pure le bambine. La testimonianza di una donna vale la metà di quella di un uomo. Sotto la Sharia, certi campi di studio o di lavoro sono preclusi alle donne. Le donne, per esempio, non possono essere giudici, in quanto si reputa siano troppo ‘emotive’. Le donne non possono lavorare o anche viaggiare senza il permesso del loro tutore maschio. E le donne continuano ad essere lapidate per avere avuto rapporti extramatrimoniali, o impiccate per ‘reati contro la castità’.
Ciò ha luogo in non pochi paesi, dato che la Sharia è oggi la legge religiosa maggiormente imposta nel mondo. Certamente, questo non ha a nulla a che fare con le richieste e i desideri dei musulmani o di coloro che si percepiscono tali, ma è dovuta allo sviluppo di un movimento politico islamico. Trovo sempre interessante che qualcuno a ‘sinistra’ consideri la laicità, i diritti e la libertà come concetti occidentali, mentre invece il nucleare o la più recente tecnologia per reprimere i movimenti sociali e la classe operaia siano considerati un ‘diritto’ degli Stati islamici. Anche se la laicità fosse occidentale, sarebbe assurdo sostenere che gli altri non la meritino. Di fatti diritti, libertà e laicità sono conquiste ottenute con la lotta dal movimento operaio e dai movimenti sociali progressisti ed appartengono a tutta l’umanità.
Questo tipo di politica della ‘sinistra’ nega l’universalismo, giustifica l’oppressione dei diritti delle donne, delle libertà e della parità, sotto la facciata del rispetto per le altre ‘culture’, implicando necessariamente la presunzione che le persone vogliano vivere secondo il modo in cui sono obbligate con la forza e attribuendo a innumerevoli individui gli elementi più reazionari della cultura e della religione di appartenenza delle classi dominanti.
Questa triste scusa, da parte di certa sinistra, ha delle affinità con l’atteggiamento che questa tiene verso l’Islam, che considera una ‘religione oppressa’, vessata dagli Stati Uniti. Si tratta di un movimento anti-coloniale le cui prospettive coincidono con quelle delle classi dirigenti del cosiddetto Terzo Mondo. È dalla parte delle ex ‘colonie’, a prescindere da cosa accada in esse. Ma la sua comprensione delle ‘colonie’ è eurocentrica, arrogante e pure razzista.
Piuttosto che stare con la sinistra e con i lavoratori/trici in Iran, contro il medievalismo, la misoginia e l’inumanità, questa presunta ‘sinistra’europea sta dalla parte dell’oppressore, perché ritiene il regime islamico come ‘anti-imperialista’. Ma anche il suo antimperialismo è fallace: non gratta sotto la superficie, per vedere come l’islam politico sia parte integrante del militarismo USA e del nuovo ordine mondiale. A causa dell’amnesia storica degli ultimi 30-40 anni, si ignora che il movimento politico islamico è stato incoraggiato e portato alla ribalta dai governi occidentali per fare daarginecontro l’Unione Sovietica durante la parte finale della guerra fredda. Si dimentica convenientemente come in Iran esso sia stato sostento nello sforzo di distruggere la sinistra ed il movimento operaio rivoluzionario. Non dovrebbe poi sorprendere che dovunque il militarismo USA sia ‘intervenuto’ – dall’Afghanistan all’Iraq, alla Palestina – l’Islam politico è stato portato al potere o si è rafforzato.
Mentre la laicità è un’emergenza nei paesi che vivono sotto la legge islamica e anche nell’occidente è un problema. La religione – tutte le religioni – è potenzialmente discriminatoria, misogina e omofobica. L’Islam lo sembra di più, oggi, perché detiene potere politico. Nel Regno Unito, dove il cristianesimo sembra più ‘adeguato’, perché è stato messo nell’angolo dall’illuminismo, la Chiesa Anglicana continua ad avere sussidi statali ed ha uno stretto rapporto con la monarchia e lo Stato. Ci sono vescovi che appartengono alla Camera dei Lord ed ai gruppi religiosi è permesso esercitare discriminazioni contro omosessuali o altri soggetti, motivate dalle loro credenze. Vista la realtà, come si può dire che la laicità sia irrilevante al giorno d’oggi e nella nostra epoca?”
Di questo si parlerà a Londra, di questo proverò a riportare voci, volti e storie.

Reportage dalla Conferenza
Sarà che funziona il fattore ‘estero’, e forse anche un po’ la vacanza (dopo il disastro dell’alluvione di Genova che ha sabotato la nostra piccola delegazione, la fortuna ha voluto che si liberasse un posto nello splendido hotel dove si svolge la Conferenza), ma questo appuntamento politico, quasi ignorato dalla stampa e dall’attivismo italiano, è fantastico.
In ogni intervento (oltre 30 persone nei vari panel tematici per due giorni, che esaminano i vari intrecci con la laicità, dal corpo alle istituzioni, passando per l’educazione e le resistenze culturali e ideologiche) ci sono spunti di straordinario interesse e anche se mi rendo conto che sto usando aggettivi iperbolici vorrei che mi credeste: è così, è un appuntamento d’eccezione.
Come per molti eventi esteri (in particolare nella cultura anglosassone), le cose filano lisce nei tempi: non ci sono quarti d’ora accademici, le pause di dieci minuti sono di dieci minuti, così come gli interventi non debordano. Ma questa, si potrebbe dire, è solo forma e, anche se non è male, è il contenuto che conta.
E allora vediamo, in ordine sparso e per cenni (in attesa di poter rendere disponibili le interviste audio e video), cosa si è squadernato in questa prima giornata.
I venti minuti del filosofo, scrittore e columnist del Guardian AC Graylins sono un distillato di humor british sull’ossimorica tendenza di ogni religione a dirsi democratica, aperta e foriera di libertà. Ce n’é per tutti: ebrei, cattolici e islamici. Graylings ironizza, tra le risate crescenti e con un eloquio incalzante, sulla ‘promessa’ che ogni fede baratta a danno del presente: la vita sulla terra è solo un soffio che si interpone tra te e il paradiso e quindi a poco vale la fragile ricerca laica del benessere e della giustizia qui e ora. Poi il monito serio: il pericolo dell’educazione religiosa non sta nel voler educare, conclude Graylins, ma nel pretendere di educare a cosa pensare: l’educazione dovrebbe insegnare a pensare, punto. A quando, al posto dell’educazione religiosa, l’insegnamento della storia delle idee?
Marieme  Helie Lucas , attivista e studiosa di origine algerina, tra le organizzatrici dell’evento, più volte invitata e pubblicata da Marea in Italia, ribadisce con forza l’uso dannoso del concetto delle ‘differenze’ culturali per giustificare la negazione dell’universalismo dei diritti e il permesso di usare le leggi religiose, su richiesta delle parti fondamentaliste dell’Islam in Europa. “Siamo vittime dell’essenzialismo e del relativismo, quando reclamiamo diritti diversi su base religiosa, anche quando vogliamo difendere ‘i diversi’ nel nome delle culture identitarie. Accade sempre più spesso che i governi occidentali si mettano in relazione con  rappresentanti religiosi che non sono mai stati eletti e che parlano a nome di una parte precisa delle comunità (non certo a nome le donne) e portano avanti i diritti di una minoranza esclusiva. Spesso siamo forzati dentro categorie cristallizzate, a seconda della provenienza geografica e religiosa (che si presume che seguiamo): su questo si basa la visione multiculturale - afferma - : è una visione che garantisce l’esistenza di enclaves chiuse, nelle quali governano quasi sempre principi non democratici e comunque che pretendono di poter fare a meno dell’universalismo dei diritti”.
Taj Hargey, che dirige una moschea e un centro di studi, più volte attaccato dagli islamisti per la sua apertura all’occidente, va di corsa nel suo discorso perché è tardi e snocciola i vari motivi per i quali non ha senso invocare la fede nell’Islam per imporre alle donne velo, burka e altre forme di segregazione e negazioni di diritti.
Il suo non è il solito appello alla ‘buona’ fede, veicolo di pace e foriera di amore: in una democrazia, scandisce,  non è ammissibile che esistano comunità o luoghi che attribuiscono doveri diversi per cittadinanza, sesso o orientamento su base identitaria e religiosa.  Come permettere che un’idea che mortifica le donne e i loro corpi abbia spazio e che si autorizzino, in nome della ‘tolleranza’, umiliazioni come il burka o il niquab? Il suo forte intervento termina con l’auspicio che tali pratiche si bandiscano in Europa, così come si aiutino i movimenti secolari nei paesi musulmani.
Parvez Hoodbhoy , scienziato pakistano con alle spalle una lunga storia di ribellione contro l’integralismo, analizza l’ascesa del concetto di stato islamico, domandandosi se chi lo invoca abbia davvero idea di cosa sia e se questo concetto esista dentro ai testi considerati sacri e fonte di diritto dagli islamisti. “Credo che nessuno tra i fanatici sostenitori dello stato islamico sappia davvero quello di cui parla, perché non esiste evidenza storica dell’esistenza di uno stato di questa natura”, esordisce. “Nemmeno una parola, in arabo, indica il concetto di stato, solo quello  di comunità. E siccome queste persone invocano il Corano per motivare il progetto di stato islamico, evidentemente mentono”.
Il suo può sembrare un discorso di carattere teologico estremamente tecnico: in realtà è  importante perché significa stare sul terreno che queste forze tentano di accreditare, ovvero quello del consenso sulla base della ‘rivelazione’.
“Nei testi coranici non ci sono cenni a stato, esercito, tasse o altro che identifichi l’indicazione della possibilità di fare uno stato”. Dopo il suo intervento risulta più chiaro (anche se non sempre è ben visto dai movimenti atei e agnostici), come sia importante l’esegesi dei testi per creare una cultura laica e antifondamentalista nelle comunità musulmane.
Di grande impatto emotivo la scelta formale di Karima Bennoune, docente arabo-americana di legislazione internazionale, di parlare delle vittime del fondamentalismo.
Sullo schermo dietro di lei scorrono le immagini e i volti di uomini e donne di varie provenienze geografiche, attiviste e attivisti per la laicità, che hanno trovato la morte negli ultimi anni per mano degli islamisti. Non c’è nulla di enfatico o di eroico nel suo breve racconto delle biografie: Karima chiede che si ricordino queste persone perchè fare memoria è un gesto politico prioritario per avere futuro e per ricordare che la libertà di vivere senza il giogo dell’ideologia religiosa non esiste ancora in molti luoghi del pianeta. “Non si tratta di fede, scandisce, ma di fanatismo, di politica e di regime”.
Nella sessione dedicata al multiculturalismo, sono durissime le parole nei confronti di quella parte della sinistra che, oggi, rischia di diventare la nuova destra, quando nega l’universalismo dei diritti. Un discorso piuttosto impensabile in Italia.
Hamid Taqvaee , attivista e docente iraniano comunista, ribadisce che il pericolo reale con il quale abbiamo a che fare non è tanto, e solo, il fanatismo ‘esotico’ che prospera nei paesi dell’Asia e dell’Africa, quanto quello che si radica dentro i paesi dell’occidente.
La seduzione del califfato presso i giovani occidentali si basa sulla contraddizione che, da una parte, vede l’attrazione dei giovani verso l’economia di mercato, ma, dall’altra, dall’orizzonte ideologico del fanatismo religioso, che promette valori antagonisti a quelli del materialismo.
Caroline Fourest , giornalista e scrittrice francese, sceglie un titolo interessante per il suo intervento: secolarismo contro fanatismo. Anche nel suo paese esistono frange di sinistra che abbracciano il relativismo culturale per giustificare i crimini islamici come una difesa dal capitalismo. Il suo discorso chiama in causa anche la stampa, che spesso getta olio sul fuoco, dando voce ai fondamentalisti quando scoppiano i casi di ‘blasfemia’. “Spesso, sostiene, si confonde la critica con l’islamofobia e si assimilano il femminismo e la lotta all’omofobia come contrari alla fede. La parola secolarismo è importante, in Francia (in Italia si chiama laicità)  e significa vivere in paesi dove la religione non detta le leggi civili e non entra nelle relazioni tra persone e nello spazio pubblico deliberativo. Oggi, tra tutte le religioni rivelate, quella più pericolosa è l’islam, perché nei paesi dove è religione dominante non c’è mai stata una separazione tra stato e religione e quindi la legge è quella divina, mentre questa differenza è stata superata nei paesi in origine cattolici”. Definisce ‘circo maledetto’ quello nel quale spesso l’occidente si trova a scegliere tra il ‘minore dei mali’ nei  vari gruppi estremisti, per ‘liberare’ i paesi oppressi dalle dittature, un altro problema politico ben presente anche in Europa.
Altro tema fondamentale che nomina è la questione dei moderati: si tratta di un falso problema. Di fronte alla laicità non si può essere moderati o non moderati: o si è laici, o non lo si è, perché essere per il secolarismo significa essere per una legge umana uguale per ogni essere umano. “Promuoviamo una società moderna nella quale c’è un posto per ogni persona e dove c’è posto anche per chi crede. Ricordiamoci che nelle società dominate dal fanatismo non c’è posto per chi non crede”- afferma.
Sue Cox, attivista femminista inglese che si occupa di violenza domestica, apre una finestra sugli abusi dei sacerdoti cattolici. La sua presentazione è vivace e costellata di immagini e vignette (alcune anche satiriche), che illustrano la condizione arretrata, dal punto di vista culturale, dell’iconografia legata alla religione cattolica. “Quando vedete l’immagine sorridente del papa fate attenzione: non credete a quello che vedete, perché quello che vedete non è ciò che avrete”. La sua è l’esperienza forte di chi è sopravvissuto agli abusi, eppure è capace di fare ironia e sorridere quando parla della realtà oscurantista della chiesa cattolica in molti paesi del mondo, così come inquietante è l’appello della parlamentare turca Safak Pavey , che  testimonia come nel suo paese si stia riproponendo con forza, negli ultimi anni, il revival del tradizionalismo religioso.
Sultana Kamal, avvocata del Bangladesh, racconta il difficile percorso del suo paese nel costruire la democrazia laica, fronteggiando il regime del vicino Pakistan, dominato dall’islamismo. “Non vogliamo essere identificati con la religione o l’ideologia - dice- Riconosciamo il secolarismo come una delle basi della costruzione della nostra cultura. Ma sappiamo bene che il patriarcato e il fondamentalismo lavorano insieme contro i diritti universali, in particolare contro le donne”.
Nadia El Fani, regista tunisina di Laicitè Inshallah, critica il presidente Francoise Holland che, come primo atto della visita nel suo paese (la Tunisia ha di recente cambiato la Costituzione introducendo l’invocazione del nome di Dio) ebbe a dire che ‘l’islam è compatibile con la democrazia’, accreditando così una visione di tutti i tunisini come fedeli e incapaci di scegliere la laicità come orizzonte necessario.
“Non serve affermare che l’islam è una fede democratica: sfortunatamente chi è laico e vive nei regimi islamici, è sempre in svantaggio, perché rispetto ai credenti non ha credito presso chi propugna un mondo governato dalla fede in dio” - dice-. Negli spezzoni del suo film mostra le dispute nelle quali i fondamentalisti smettono di discutere e inneggiano ad allah e gli studenti islamici  interrompono convegni, commedie  e momenti artistici.
“I nostri sono islamisti intelligenti: hanno denaro, usano i social media e quindi raggiungono i giovani, per questo sono pericolosi e pervasivi. I fondamentalisti non vogliono la democrazia: io sono democratica, per me loro possono esistere, ma dobbiamo sapere che queste persone usano la democrazia per costruire la teocrazia. Dite ai giovani che possono credere nel paradiso, ma che è una menzogna se sulla terra c’è un mondo ineguale e ingiusto, come quello che chi crede nel paradiso realizza brandendo dio”.
Così termina la prima giornata di lavori (sabato).
Nella seconda giornata (domenica), molto interessante è la suggestione linguistica di Fariborz Pooya, della Secular Iranian Society: il suo discorso riguarda il fatto che la religione è un fattore chiave nella costruzione dello stato e che essa spesso venga identificata (come ‘madre natura’) come la ‘madre religione’.
Fatou  Sow (wluml) parla di ‘fattore bipolare’ dell’appartenenza  religiosa e della difficoltà di svincolarsi dagli stereotipi; per esempio, secondo lo stereotipo, sei femminista e quindi sei occidentale e bianca. Invece lei è africana (del Senegal), nera e però femminista. Il fatto è che molti usano l’islam come strumento di resistenza contro l’integrazione, per la conservazione della cultura di provenienza e quindi contro le idee diverse, anche nelle relazioni personali. In molti paesi la religione non è all’interno delle Costituzioni, ma pesa nelle questioni che riguardano la famiglia e spesso la religione diventa politica: per esempio la richiesta della shaaria come base legale in alcuni stati: ora in Nigeria, ma  prima anche in Europa -in Inghilterra- e in Canada.
Homa Arjomad, iraniano-canadese, attivista per la campagna di educazione laica per l’infanzia, quasi declama il suo discorso, cosciente che se non si comincia dalla prima età, non ci sarà rifugio dall’integralismo e non ci potrà essere una crescita armoniosa e libera nel corpo e nella mente. “Sono stata testimone degli abusi su bambine e bambini nel nome della religione, non ne avete idea, - racconta -. Isolamento, discriminazione, matrimoni forzati: questo accade nelle scuole islamiche, in Canada (non in Iran), e non è diverso spesso da ciò che avviene nelle scuole cattoliche. I piccoli e le piccole non hanno religione, è chi li educa che li spinge a imparare i dettami religiosi che nel futuro potranno farli diventare fanatici. Il multiculturalismo e il relativismo lavorano perché le scuole religiose prosperino, così da creare enclaves che tengano le popolazioni separate e sotto regole discriminatorie che escludono la diversità culturale e la democrazia. Le religioni hanno una cosa in comune: il controllo”.
Ed eccoci a Nina Sankari, dalla Polonia, dell’Atheist coalition. Racconta che “l’affrancamento dal totalitarismo comunista in Polonia non ha generato la democrazia  che volevamo, perché la cosiddetta trasformazione democratica non si è accompagnata con la secolarizzazione della società, ma ha determinato la trasformazione dello stato ateo-non democratico in uno stato non democratico-confessionale.  Un articolo della nuova Costituzione protegge la religione e riesuma il reato di blasfemia e in questo modo i fondamentalisti possono denunciare gli artisti e chi tratta la religione per criticarla e fare polemica contro di essa, così come sono combattute in modo oscurantista le performance contro la religione o a sfondo religioso”.
Elham Manea, di One alla for all, apre il discorso con l’affermazione che essere secolarista non significa essere atea e questa è una affermazione importante perché evidenzia come il discorso sulla laicità sia usato politicamente dai fondamentalisti per affermare che la laicità è violenta ed escludente nei confronti della fede. I suoi studi sul come anche la visione multiculturalista sia pericolosa nei confronti della laicità hanno messo in rilievo come le attuali richieste delle comunità musulmane in Europa per l’applicazione della sharia vadano nella direzione di identificare le minoranze come esclusive e necessitanti di leggi ad hoc, in questo modo tutelando diritti identitari e collettivi su base tradizionale ai danni della libertà e dei diritti individuali. Una legge per tutti non è solo uno slogan, è una difesa specialmente per le donne e per l’applicazione dell’universalismo dei diritti individuali.
Kenan Malik, scrittore di origine indiana, sostiene che si deve distinguere di cosa abbiamo bisogno. Il multiculturalismo vede i bisogni delle persone come delle scatole nelle quali ogni comunità deve stare rinchiusa e immagina che la diversità debba essere trattata a seconda delle provenienze, nel nome della tolleranza. Ma spesso difendere la diversità, quale che sia, significa difendere soprusi contro terze persone e in questo modo il multiculturalismo diventa un processo politico. La diversità è importante, ma essa non può essere difesa in assoluto. Spesso chi critica il fondamentalismo viene attaccato come non accogliente e persino razzista e viene affermato che soltanto chi fa parte delle comunità può eventualmente (secondo il politically correct della sinistra e dei ‘liberal’conformisti) criticare, ma nessuno al di fuori ha diritto di parola. “C’è molta nostalgia dentro la cultura musulmana- sostiene -: se si chiede ad alcuni musulmani se vogliono il Califfato, vi sono molte possibilità che la risposta maggioritaria sia affermativa. E’ un ritorno alle crociate ed è un’affermazione che rivela come ci sia il desiderio di una verginità identitaria, che raccolga in uno stesso luogo la cultura originaria”. Kenan racconta di come in un gruppo di persone giovani di fede musulmana fosse stato chiesto se preferivano lo stato islamico o la democrazia occidentale e la risposta era stata a favore quasi unanime dello stato islamico. Un’altra domanda verteva su dove avrebbero voluto essere giudicati per un reato e, tranne una mano alzata a favore degli Emirati, tutti gli altri avevano risposto ‘in Gran Bretagna’. Questo evidenzia come ci sia una grande confusione tra politica, senso della collettività e diritti individuali. “Lo stato islamico sarebbe un inferno non solo per le minoranze, ma anche per ogni musulmano” - conclude. Uno stato islamico sarebbe la fine della democrazia come noi la conosciamo, anche negli stati attualmente dove la religione dominante è l’islam: si tratta di uno stato dove chi ha denaro paga, la giustizia è su base economica e la pena si ‘compra’. Le donne, uccise mutilate o rilasciate dopo il matrimonio, ovviamente costano meno”. Blood money, denaro insanguinato, definisce quello che viene in soccorso dei gruppi islamisti. Sarebbe la fine del progresso sociale, lontano nel tempo fino al secolo quindicesimo, come ora accade in Pakistan. Lì si può sposare una bambina di 5 anni, si può ripudiare la moglie quando si vuole e il consiglio islamico ha persino cancellato l’evidenza nei processi contro lo stupro (quindi non ci sono possibilità di provare il reato, perchè questo non esiste).
Per staccare dall’intensità degli interventi la brillante attrice e attivista Kate Smurthwaite descrive in modo comico le minacce che riceve per la sua attività femminista a favore dei diritti riproduttivi: ”C’è chi dice che non gli interessa cosa faccio, ma provvederà a staccarmi la carne dalle ossa. Beh, mi sa che invece gli interessa, credo.” Alla fine del suo momento teatrale e di alleggerimento, in barba ai fondamentalismi sessuofobi, eleva il piccolo pamphlet ‘enjoy your genitals’.
Si arriva alla sera, con la cena servita in modo impeccabile e con l’intervista di Gita Sahgal alla scrittice Taslima Nasreen e il concerto per pianoforte.
Quello che colpisce è l’attenzione creativa delle organizzatrici nell’aver pensato un evento multimediale, multisensoriale, nel quale corpo e mente si nutrono in modo puntale e dove il concetto chiave è lo stare il più possibile insieme, nel modo più accogliente possibile.
Circolano teoria, politica, attivismo, teatro, ironia, buon cibo, ospitalità, una lotteria di autofinanziamento con libri sull’argomento (non siamo in una sala con palco e platea, ma ci sono 60 tavoli rotondi e in ciascuno si sta in 8 persone, con pause per bere e mangiare).
Last but not least: io sono qui non perché qualche giornale italiano (ne ho contattati un bel po’) si sia detto interessato a pubblicare un reportage sull’evento (e quindi a pagare almeno il ticket di ingresso alla due giorni, circa 180 euro): questa spesa se l’è accollata la Consulta Torinese per la Laicità delle Istituzioni e il documento finale, il Manifesto for Secularism (Manifesto per la Laicità) è stato da me firmato a nome del Coordinamento Nazionale delle Consulte per la Laicità delle Istituzioni. Anche questo fa pensare. 

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